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Pubblicato 16 Settembre 2013 Visite: 6210
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Davide Rondoni è menzionato nelle antologie tra i massimi poeti contemporanei. È anche scrittore e giornalista.

Le mie teorie su Leonardo da Vinci e la mia pittura sono supportate anche da un'attenta rilettura degli scritti apocrifi. La figura del Cristo, come ci spiega Davide Rondoni con il suo ultimo libro “Gesù - un racconto sempre nuovo”, non finisce mai di sorprenderci.
Lo scrittore, rifacendosi ai vangeli apocrifi e canonici, restituisce al lettore contemporaneo un'idea di Gesù, di Giuseppe, di Lazzaro, di Giuda ecc. più accessibile.
Mi definisco di cultura cattolica più che di fede. La fede è un “dono” che non è dato a tutti di avere. A volte risulto antipatico e polemico perché mi scontro con sacerdoti che mi rimproverano di non essere un cattolico osservante. Credo che le liturgie, salvo alcune eccezioni, siano diventate noiose. Si parla di un Cristo lontano dal nostro tempo, dai nostri luoghi e dalla nostra gente; insomma un Figlio dell'uomo lontano da noi.
Questo libro mi ha ridestato interesse per la figura dell'uomo più popolare della storia del nostro pianeta. Per la cronaca, un divertente sondaggio mette al secondo posto, dopo Gesù, Leonardo da Vinci. 
Il mio amico Davide mette in risalto il profilo psicologico dei personaggi facendoci affezionare a loro, all'amico di Gesù, ai suoi parenti, ai suoi apostoli e alle loro paure.
Ho chiesto ad Andrea Galgano di scrivere una recensione su questo libro per continuare a leggere, anche con gli occhi di un amico, di un poeta e di un uomo di fede un racconto che non finisce mai di sorprenderci. 
Luca Caricato

 

Andrea Galgano, giovane poeta potentino, critico letterario e docente di letteratura alla Scuola di Psicoterapia Erich Fromm di Prato è un caro amico di Davide Rondoni. 

«Chi è? E cosa vuole il suo sgangherato gruppo di amici che sfida il potere dei sacerdoti e abbraccia la disperazione della gente? Chi è quell'uomo che carezza la fronte degli ammalati, perdona i peccatori e piange per la morte dell'amico? Lo si vede discutere, cercare gli occhi di chi vuole ammazzarlo e il cuore di chi anela alla vita. Molti pensano di conoscere la sua storia, ma la vicenda dell'Uomo di Nazareth è uno dei due racconti a cui tornare sempre, come diceva Borges, per riflettere sul destino e sul senso. L'altro è quello di Ulisse. Forse questo nuovo racconto su Colui che spaccò in due la Storia non piacerà a una certa gerarchia e a una folta schiera di teologi e intellettuali, ma il viaggio di Gesù è qualcosa che si deve fare di nuovo. Con il fiato tra i denti, e il fuoco nel cuore».
Il nuovo romanzo di Davide Rondoni, uno dei più grandi poeti contemporanei,Gesù- Un racconto sempre nuovo, si snoda su questi punti nevralgici, abita i segmenti della storia, si sporge per scavare nel cuore e nel fiato dei personaggi.
Una memoria cinematografica che tra bagliori e accensioni, possiede l’approssimarsi dei volti e delle figure, si orienta, come se ripercorresse gli stessi luoghi e le stesse linee, attraverso gli uomini che sono stati investiti da Cristo, nella parabola che sceglie la sua vita per raggiungere anche l’ultimo brandello di luce risorta.
Un libro-rischio. Ma che in questa prospettiva dinamica e umana gioca la carta dello sguardo che prende in mano ciò che è «la conoscenza, attraverso un testimone umano, di cosa che umanamente non si può sapere: la natura di Dio e la vita di Dio, la natura del Mistero e la vita del Mistero» (Luigi Giussani).
Le pagine di Rondoni si confrontano con i Vangeli, come promessa (e proposta) per sé e per noi lettori, chiamati a una sfida che chiama l’uomo al fondo della sua domanda elementare e delle sue questioni.
Il bagaglio delle letture, degli studi, degli echi, delle soste su poeti contemporanei e non solo, rappresentano l’indizio e lo sfioramento a qualcosa che si impone, mai anteponendosi.
Lo scavo negli uomini che hanno incontrato, e in alcuni casi scontrato, l’Uomo di Nazareth, da Erode il Grande e Erode Antipa, fino a Giovanni il Battista, gli Apostoli, segnati come Andrea e Giovanni dall’ora del meriggio in una corrispondenza con la sommità del desiderio di bellezza, giustizia e verità, Pilato e sua moglie, Giuda.
Il mosaico delle donne, sensuali come Erodiade, convertite come un cielo dall’ombra come Maddalena o la moglie di Pilato che tenta di distogliere il marito dal condannare quell’uomo, rappresentano un volto storico vivo, una testimonianza, un gancio.
E ancora, l’indemoniato, il centurione, l’emorroissa «tutta coperta di vesti nere, fasciata e sudicia» che emerge «come un animale antico, con un mugolio rovinoso, il viso e la testa coperti dal telo nero orrido» e risale «dalla polvere mentre alcuni si scansano il poco che è possibile da lei, che alza e rotea lentamente il busto verso Gesù, mentre inizia ad aprirsi le vesti con le mani magre, macchiate di terra e di sangue», il paralitico o il cieco guarito che dopo aver visto nascere di nuovo il mondo nei suoi occhi cerca quel volto di Colui che l’ha guarito, roteando lo sguardo nel cielo bianco, per essere poi sollevato, stupito e divertito, o il tremore nudo dell’adultera che nell’attimo in cui sta per essere lapidata, ricorda l’esecuzione che ha visto da bambina assieme al padre.
I discepoli spesso non comprendono, rimangono increduli, ma sanno che lontano non è possibile andare, perché «Dio non ha scelto» scrive Rondoni «una schiena curva, una sottomissione. Una obbligazione. Ma un «sì» libero, detto a viso aperto a tutta la giovinezza di una ragazza. Un «sì» fragile e potente. «Non avere paura», aveva detto a Joseph una creatura di ombre e di luci nel sogno».
Ma Cristo, vissuto da Davide Rondoni, in queste pagine è lo schianto di una vita piena, l’altezza di una concretezza che ama le radici umane e il fuoco del cuore che si affaccia alla realtà per barbagliarsi di infinito.
Ci sono uomini colpiti e da lui avvinti, come Nicodemo o Giuseppe d’Arimatea, o lo stesso apostolo Giovanni, sperdutamente raccolto nell’abbandono.
In questo quadro di uomini, luoghi, volti, segmenti, alberi tagliati dalla luce, la “macchina da presa” dell’autore scende fino alla freschezza dell’evento.
Il lettore ne segue i passi, tenta scorciatoie per arrivare prima e vedere cosa accade, per incidere le ciglia fino allo stremo, come se ci si trovasse di fronte al pianto di Gesù davanti al suo amico Lazzaro nel grido di una morte vinta nella grande pietra smossa o persino nella ipotesi su Giuda Iscariota che non intendeva tradire Gesù bensì favorire un incontro con la classe sacerdotale per evitare lo scontro e accordarsi e chiudere, poco dopo, la sua esistenza tra i rami.
La nota dei paesaggi in questo testo è uno scenario di epifanie di luce. Scrive la storia nelle incisioni di acqua, nei passaggi di albe e tramonti, nel ricamo della città sorta nella preghiera come rosa incendiata, nel lago a forma d’arpa, come il sole che spacca l’aria. Prepara il suo transito a qualcosa, un prodigio, un segno, un mistero improvviso di aria sospesa. E infine le parole gridate in croce, come «fiori di stelle nella mente che esplode» alla fine di una goccia di grido e gloria, per un inizio vivo.
Andrea Galgano

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