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Pubblicato 28 Agosto 2013 Visite: 5145
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RADICI di FIUME è il frutto di un connubio artistico tra Irene Battaglini e Andrea Galgano, di arte e poesia. Per dirlo con parole loro, l’espressione di un talento unico, un incontro di anima, un'osmosi. Un’unione tra due arti che ha radici lontanissime, dall’Ut pictura poesis oraziana al dibattito contemporaneo tra poesia e arti visive e più in generale, tra linguaggi verbali e comunicazione mediatica. Ma il loro lavoro vuole essere differente, rappresentare un’evoluzione nella quale poesia e pittura percorrono gli stessi spazi e movimenti, dove la poesia crea un ponte tra immagini lontanissime, immagini caratterizzate da una pennellata apparentemente insofferente a ogni definizione stilistica. Docenti della Scuola di Psicoterapia Erich Fromm, Andrea Galgano, poeta e critico letterario, e Irene Battaglini, pittrice e studiosa di psicologia dell’arte hanno collaborato in Frontiera di pagine, una raccolta di articoli e saggi di arte e letteratura scritti all’interno del Polo Psicodinamiche di Prato. Il catalogo Radici di fiume con prefazione di Francesca Serragnoli, uscito il 1 Agosto 2013, raccoglie 23 dipinti e altrettante poesie, esposti dal 15 Dicembre 2012 al 30 Aprile 2013 a Prato al Polo Psicodinamiche e attualmente esposti in una galleria del centro storico a Maratea (Potenza) dal 14 Luglio al 15 Settembre 2013. 

Cristiana Elena Iannelli: Irene, come nasce questo connubio artistico tra te e Andrea Galgano, quindi arte e poesia? Il connubio tra arte e poesia, nel nostro caso, è l’espressione di un talento unico, composto da gesto pittorico e gesto poetico. Si tratta di un incontro di anima, un sentiero in cui si incontrano due modi di sentire il mondo, che mi piace definire osmosi. È estremamente rischioso analizzare questo processo complesso e delicato, perché il ricorso all’intellettualizzazione è una difesa che danneggia la manifestazione della generatività. Il connubio nasce dall’incontro, in una dimensione di necessità. La necessità di salvarsi dal naufragio della notte del mondo. E per fare questo, crediamo che lavorare alla bellezza delle cose sia un tentativo plausibile di costruire una zattera. Non è una zattera tutta per noi, è una zattera che vogliamo mettere a disposizione di chi apprezza il nostro lavoro, trasmetterne i codici. Lavorare in due è come disporre di un equipaggio in condizioni di maggiore sicurezza. Andrea possiede una competenza stilistica e una conoscenza così vasta da far tremare i polsi. Io possiedo intuizione, ispirazione, e il dono della geometria interiore. Siamo una buona squadra e condividiamo i nostri progetti con un team più vasto, composto da grandi professionisti. Naturalmente è difficile e improbabile essere compresi, essere amati per questo. È più semplice essere elegantemente analizzati.

A cosa si ispira il titolo Radici di fiume? La radice di un fiume è la sua sorgente. Radici di Fiume è la sintesi estrema di quello che potrebbe essere uno sviluppo, una traiettoria, per arrivare dal fiume al mare, e affrontare il naufragio, viverlo consapevoli di alcune grandi certezze. Per esplorare gli anfratti e le oasi, i gangli e i vortici del naufragio e le isole in cui sostare per ristorarsi. È un titolo ontogenetico, anzi direi una sorta di codice genetico che speriamo possa esprimersi nel tempo, in un ambiente spesso ostile come quello dell’arte e della letteratura, in cui il nuovo deve sottoporsi a continui tentativi di catalogazione. Le immagini del grande fiume, della grande radice secolare, ci appartengono da milioni di anni credo, a livello di strati psichici, arcaici, filogenetici. Ed io ne sono ossessionata.

Sei una psicologa, pittrice e studiosa di psicologia dell’arte, ci racconti un po’ questo percorso? Non vorrei deludere i lettori, ma non pratico la libera professione di psicologo. Si costituirebbe un problema deontologico in questo momento, perché già faccio molte cose e inoltre il nostro ordinamento non prevede la figura di psicologo dell’arte. Non intendo però sottrarmi al mio destino di psicoanalista. In questo momento dipingere, studiare e coordinare il Polo Psicodinamiche, di cui sono amministratore delegato, costituiscono un impegno molto sostanzioso. Ho anche in serbo un saggio di psicologia dell’arte che uscirà l’anno prossimo per Aracne. Una “navigazione in solitaria” su un tema difficile e anche un po’ scabroso.

Andrea, in Radici di fiume per ogni dipinto di Irene, hai scritto una poesia. È un chiave di lettura la tua poesia, un modo per leggere l’arte? Le poesie sono nate come rapporto vicino e contiguo e non come abbinamento. Sostenere che la pittura possa, in qualche modo, essere manifestazione della poesia credo sia giusto ma non è tutto, così come è vero il contrario. È un atto autonomo che nasce dentro la simbiosi pittorico-immaginativa tra linguaggio e gesto, come manifestazione del rapporto dell’uomo con l’infinito, altrimenti inattingibile. La grande poesia moderna, da Baudelaire a Eliot, fino a Luzi, Pasolini e Tagore ha sostenuto una realtà rivelante e metafisica del fare poetico che sposa il senso originale di ciò che vediamo. Seguire le linee di questi quadri significa percorrere lo stesso spazio di linee, lo stesso movimento di mani e di occhi. È come se fosse una sorta di memoria che si rivela.

Andrea, un parallelo tra arte  poesia e letteratura. Tutte e tre queste arti hanno a che fare con il visibile e pertanto con la visione. Ma senza visionarietà è come se l’immagine non avesse vita. La poesia, così come la letteratura, conosce il mondo e lo fa vero, e per dirla alla Chesterton, lo salva dal naufragio. Analogamente la pittura lo svela, lo insegue e non si limita solo a riprodurne le fattezze.  

Irene, nei tuoi dipinti è il colore a dar corpo alla forma e allo spazio; l’immagine sembra costruirsi per mezzo di una fitta tessitura cromatica, una ricerca che ha visto Cézanne protagonista e precursore dell’arte moderna. La tua è un’arte ispirata, ci sono dei riferimenti o è un’arte che viene da sé? Cristiana, grazie per la domanda. La mia arte – sebbene io fatichi molto a considerarla tale –, sarebbe da rifare tutti i giorni. I quadri vanno bruciati di quando in quando, sebbene simbolicamente. Lo sostenne anche il grande Mirò. Osservo i Cézanne e mi domando perché abbia l’ardire di dipingere. Studio i Fauves e mi vergogno per come uso spudoratamente il colore senza avere lo spessore per sovvertirne le regole. Sono una piccola artigiana, ma non posso fare a meno di dipingere. Perché mi è necessario. Studio i grandi, ma anche gli autori minori, i misconosciuti, che spesso hanno molto da insegnare. Tuttavia l’ispirazione è sempre un attentato all’innocenza, e creando un’opera, ci rendiamo colpevoli di fatto. Non dipende solo dalla volontà dell’artista, ma da qualche cosa che viene donato per grazia, e che ci impone questo processo, questo stare dentro un grave peccato di presunzione, rappresentare la realtà al posto di qualcun altro. Questo dono deve essere informato alla materia, e il colore è una espressione sublime e meravigliosa della materia del mondo, a mio parere.

Come mai proprio la scelta dell’opera Piena-di-fiume (Autoritratto) come presentazione della mostra, quali storie ti interessa raccontare attraverso i tuoi dipinti? I dipinti sono un derivato di storie antiche, legate all’infanzia, a un sogno, a un dolore antico, o a un desiderio per l’oggetto trovato [l’objet trouvé alla Duchamp], il cui destino è di essere sempre inafferrabile e qualche volta, inaccettabile. Piena-di-fiume è l’autoritratto di una Battaglini in età pre-adolescente, un crogiolo informe di acque e di terre, mai abbracciata, mai confortata, mai calmata. All’epoca non ero ancora Irene. È il concept di tutto il lavoro, perché richiede di andare a vedere quello che siamo alla radice. Ovviamente non è solo questo, molti quadri sono decisamente i frutti di questa che è pienezza in nuce.

Al contrario e in futuro...interpretare la poesia di Andrea attraverso un dipinto, ci avete pensato? È già questo. Non posso interpretare Andrea o la poesia di Andrea. La poesia di Andrea è bellissima di suo. I lavori di Radici di Fiume sono come due ali di una colomba, non vi è scissione all’interno, è un unico volo. Vero è che ciascuno di noi lavora anche per conto proprio ai progetti personali, e naturalmente ci confrontiamo e sosteniamo per suggerimenti e soprattutto spietate critiche se necessario. Perché siamo amici.

Quindi la vostra non è un’interpretazione, è un’unione nella quale i saperi si incrociano e si completano. Francesca Serragnoli nella prefazione scrive che la fantasia non sta nell’aver semplicemente accostato arte e poesia, un connubio già lungamente trattato. Qual è la vera novità nel vostro lavoro, cosa vorreste trasmettere di diverso al pubblico contemporaneo? La possibilità di un recupero nella cooperazione di dimensioni normalmente scisse. Voglio dire, si può trarre una carezza dal sapersi donare al mondo. Nello spirito di una bottega rinascimentale. Il mondo dell’arte contemporanea è affetto da un grande male, il narcisismo senza alcuna possibilità di redenzione. Vogliamo trasmettere i codici di una costruzione che salvi dal naufragio, come ha già detto Andrea. E direi vogliamo fare qualche cosa di bello. Perché il bello esiste, deve esistere. È una questione di fede.

Altri progetti futuri insieme? Stiamo lavorando a un grande progetto a livello internazionale che rappresenta una sorta di prosieguo di Radici di fiume ma con un respiro più ampio. Inoltre, stiamo preparando il palinsesto, per il prossimo anno accademico, dei seminari e delle lezioni alla Scuola di Psicoterapia Erich Fromm, alcuni dei quali ci vedono in co-docenza su tematiche interdisciplinari.

Irene, un’ultima personalissima definizione di arte. Domanda da un milione di dollari. La sintesi estrema: arte è conoscere se stessi attraverso un ignoto desiderio di restare vivi per sempre. Tentare la sussistenza al deterioramento e alla morte utilizzando supporti e linguaggi di ogni genere. E correre tutti i rischi connessi a questa decisiva necessità di arrivare al vero di noi stessi. A un patto: disciplinarsi al bello. Anche nell’arte del brutto è necessario, per sottrazione. È una faccenda che impegna per tutta la vita.

Cristiana Elena Iannelli 

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